Il primo elemento che determina precarietà è il lavoro: il tramonto del posto fisso, con la diffusione (questa sì stabile) di lavori temporanei, ha determinato una cesura nella vita delle persone, scardinando quella continuità che aveva consentito, nel corso del novecento, la costruzione di determinati assetti famigliari, l’accumulazione di redditi e finanche di proprietà, l’apposizione delle base per una certa mobilità sociale.
Al precariato consegue la discontinuità del reddito (e veniamo qui al secondo elemento): il guadagno dei precari è sincopato, e, di conseguenza, non sufficiente a garantire quella “esistenza libera e dignitosa” che è richiesta dall’art. 36 della nostra Costituzione perché si possa parlare di retribuzione sufficiente. La discontinuità del reddito dei precari determina povertà nel lavoro (working poor) e genera la necessità di accumulare lavori e lavoretti. I lavori dei precari si pongono in continuità temporale (uno dopo la fine dell’altro, visto il loro carattere temporaneo) e anche in sovrapposizione temporale: sovente i precari svolgono più lavori contemporaneamente, in uno stallo di incertezza e provvisorietà che ostacola il transito verso carriere più consolidate.
Ma precari si è anche in famiglia (terzo elemento: la precarietà esistenzale): la costruzione di una famiglia propria è rinviata sempre più, permanendo i precari in una condizione – precaria appunto – che impedisce il consolidamento di scelte relazionali e sposta in avanti le responsabilità genitoriali, con gli effetti che vediamo nella nostra demografia. I precari sono spesso giovani, sicché si può dire che il lemma abbia una proiezione anche generazionale. Precaria, oggi, è la stessa famiglia, che da decenni ormai non è più emblema di stabilità, come dimostra il Rapporto sulla popolazione del 2023.
Si può dire in sintesi che, nella parabola del novecento (il secolo della precarietà secondo Eloisa Betti) i precari sono ormai una componente stabile della società, un gruppo di cui il lessico politico non può non tenere conto, o, per usare le parole di Guy Standing, la “nuova classe esplosiva”.
Luisa Corazza è professoressa ordinaria di Diritto del lavoro, Università del Molise