Transizione

di Donato Speroni

Il cambiamento climatico genera fenomeni meteorologici estremi, siccità, scioglimento dei ghiacciai con prevedibile innalzamento dei mari. La popolazione continua ad aumentare, senza che esista un modello di evoluzione dei consumi che ne renda sostenibile l’impatto sul Pianeta. La governance internazionale continua a deteriorarsi fino all’attuale situazione di guerra e frammentazione geopolitica.

Si parla molto, però, di sviluppo sostenibile e di transizione: da un modello economico e sociale che consegna alle nuove generazioni un mondo sempre più in crisi, a un modello che salvaguarda i valori fondamentali e garantisce un futuro accettabile a chi verrà dopo di noi. L’Agenda 2030, sottoscritta nel 2015 all’Onu da 183 Paesi, traccia il percorso, con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, ma la sua attuazione è in forte ritardo.

Che fare? Due grandi temi devono a mio avviso avere la priorità. Il primo è la lotta alla crisi climatica, che si manifesta attraverso due tipi di azione: mitigazione e adattamento. Per mitigare l’aumento delle temperature è necessario innanzitutto accelerare il processo di elettrificazione, ricavando l’elettricità da fonti rinnovabili. L’Europa a questo proposito si è posta obiettivi ambiziosi: abbattimento delle emissioni di gas climalteranti del 55% entro il 2030, fine dell’immatricolazione delle auto a combustione interna (con qualche discutibile eccezione) al 2035, emissioni zero nel 2050. Ma non dobbiamo dimenticare che la necessaria crescita dei Paesi in via di sviluppo ha fame di energia. Per ottenere risultati a livello mondiale, gli unici davvero efficaci, si dovranno aiutare massicciamente questi Paesi a usare tecnologie pulite nelle loro produzioni energetiche.

Gli effetti della crisi climatica comunque ci saranno e dovranno essere fronteggiati con politiche di adattamento. Ogni Paese si prepara con propri investimenti: l’Italia ha appena varato una bozza del suo Piano di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), altri Paesi stanno già operando. A New York si discute di costruire nuove barriere contro l’aumento del mare, in Indonesia si trasferiscono interi quartieri della città di Giacarta che rischiano di essere sommersi.

La grande sfida dell’adattamento è però quella delle migrazioni. Entro il 2050, la Banca Mondale prevede 250 milioni di migranti climatici. Già oggi, intere zone come il Corno d’Africa sono diventate inospitali a causa dell’inaridirsi delle terre. Per affrontare un problema di queste dimensioni occorrerebbe una adeguata capacità di governo a livello internazionale. Ma al momento non c’è, anzi l’Italia non ha nemmeno firmato quel Migration compact lanciato dall’Onu nel 2018, che detta regole di base nell’accoglienza.

La transizione a un nuovo modello di sviluppo è dunque necessaria, ma non sarà indolore. Si tradurrà in un gigantesco trasferimento di risorse, con opportunità ma anche rischi di impoverimento. Va dunque attuata, ma anche resa “giusta” per far sì, come dice il Preambolo dell’Agenda 2030, “che non lasci indietro nessuno”. Un vasto programma, per noi e per le generazioni che verranno.

Donato Speroni è senior expert di Asvis, direttore di Futuranetwork.

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