Venerdì, 16 Giugno 2023 08:56

Morti in cella senza gloria

Ci sono morti che non assurgono alla gloria. Che quasi sempre vengono registrate solo con la freddezza delle statistiche. Tre righe in cronaca, quando va bene. O poco più. È il caso soprattutto delle morti -strage quotidiana, morti annunciate- sul lavoro. Ma è anche il caso delle morti in carcere. Per l’esattezza delle morti causa suicidio. Lo denuncia l’annuale Rapporto della Associazione Antigone sulle “Condizioni di detenzione in Italia”, giunto alla 19esima edizione.

È la denuncia di un quadro orrendo, di una realtà che spesso si preferisce ignorare, sia per disinteresse che per inutili ed inefficaci sensi di colpa. Una vera strage, per usare le parole appropriate: lo scorso anno, ogni quattro giorni, un detenuto si è tolto la vita. Ben 85 dunque nel corso del 2022. “Un numero così alto non si era mai visto prima” denunciano ad Antigone, “siamo di fronte a una vera emergenza”.

Le cifre, al solito danno spessore alle parole. Nel non lontano 2019, anno ultimo prima della pandemia, i casi di suicidio in carcere rispetto a quelli in assoluto, era stato di 13 volte superiore, ovvero lo 0,67% della popolazione secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ebbene, nel 2022 i casi di suicidio in carcere sono schizzati a ben 23 volte superiori a quelli delle persone in libertà.

Il 60% del totale, 50 persone, si sono suicidate entro i primi sei mesi di detenzione. Dieci addirittura entro le prime 24 ore dall’arrivo nel penitenziario. L’impatto, il salto da “fuori” a “dentro” è evidentemente devastante. Perché le condizioni di vita, dentro, sono davvero insopportabili. Principale problema, denuncia Antigone, è quello degli spazi. Nelle carceri italiane ci sono, ufficialmente, 51.249 posti a fronte di una popolazione carceraria di 56.674, di cui 17.723, il 31,3%, stranieri e 2480, il 4,4%, donne. Si tratta, ancora una volta di cifre medie. Perché se il tasso di affollamento medio nazionale è del 119%, in alcune regioni si registrano picchi decisamente più preoccupanti: 136% il Friuli Venezia Giulia, 145.7% in Puglia e, maglia nera, 151,8% in Lombardia. Ovvero nello spazio destinato a due persone deve ammassarsene una terza! I tre metri quadri a testa previsti dalle norme carcerarie sono insomma non garantiti nel 35% delle celle ispezionate da Antigone. Continuando: in quasi la metà delle celle non è sempre garantita l’acqua calda, in oltre la metà manca una doccia, in una su dieci il gabinetto non è posto in un luogo appartato.

E poi ci sono anche le torture. Dentro il carcere, ma non solo. Sì perché ormai è ampiamente documentato che la tortura di Stato in Italia esiste. Lo dimostrano i casi che arrivano fino alle sentenze della magistratura, come quella del 9 marzo scorso, quando il Tribunale di Siena ha condannato cinque poliziotti penitenziari per aver torturato un detenuto nel carcere di San Gimignano nel 2018. O al processo per i fatti del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, i cui ci sono 107 imputati fra le forze dell’ordine tra cui i vertici della catena di comando. Quanto ai casi di vere e proprie torture fuori dal circuito carcerario, il caso recente di Verona suona come ammonizione.

In Italia il reato di tortura, a seguito dell’intervento della Corte Europea per i Diritti Umani è stato introdotto nel 2017 e prevede espressamente, come obbligo costituzionale diretto- sottolinea la coordinatrice nazionale di Antigone, Susanna Marinetti- che sia punita “ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà”. Nel mondo sono 173 i paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, nata nel 1984, e 108 sono quelli, fra cui l’Italia, che hanno una norma specifica che punisce la tortura. E proprio di questa norma si parla in questi giorni nel Parlamento italiano ove è stata presentata dalla deputata Irma Vieri, di Fratelli d’Italia, una proposta di legge che tale norma vorrebbe abolire.

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