Il neorealismo cattolico di Penazzato

Erica Mastrociani

Dino Penazzato, una vita per le Acli tra impegno e creatività.

La memoria siamo noi. Noi siamo ciò che ricordiamo. I ricordi danno senso alle nostre esperienze aiutandoci nell’apprendimento della vita. Li conserviamo gelosamente. Li coccoliamo. Li amiamo o li odiamo ma, in ogni caso, fanno parte prepotente di noi, di chi siamo stati, siamo ed anche di ciò che potenzialmente, per il loro potere generativo, potremmo diventare. Ogni esperienza ed i ricordi che le sostanziano, concorrono a costruirci, definirci, strutturarci: in poche parole ad essere pienamente noi stessi. La nostra mente li recepisce, li conserva, li analizza, li riutilizza occupando diverse parti del nostro cervello. Così è per noi.

Così è anche per la storia e per le organizzazioni. Storia, storie, ricordi, memorie, azioni e pensieri compongono il bagaglio di ogni esperienza umana organizzata. Questo patrimonio costituisce l’ossatura, la struttura che man mano definisce ogni organizzazione. Gli archivi sono i luoghi che recepiscono, conservano, analizzano e riutilizzano i ricordi strutturati di ogni organizzazione che vuole avere un ruolo nella storia. La memoria e gli archivi sono quindi tutt’altro che delle pietre tombali ma rappresentano piuttosto lo spazio identitario che dà costantemente senso dell’agire organizzativo nel tempo.

Per queste ragioni negli ultimi anni abbiamo deciso di riprendere in mano, con determinazione, un lavoro di valorizzazione e di ristrutturazione del nostro archivio che conserva la storia quasi ottantenne delle nostre Acli. Scendere in archivio è come immergersi dentro i meandri della memoria. Gli scaffati, i faldoni, i documenti sono i tasselli della nostra memoria: una fitta rete interconnessa di vari documenti che conserva i nostri ricordi. Esplorarli e scoprirli sono un’esperienza entusiasmante: un tuffo nel tempo e nella storia.

Venti gradini, due scalinate, due porte, un armadio: il primo a sinistra. Lì si conserva l’archivio privato di Dino Penazzato, presidente nazionale Acli che ricordiamo per le foto che lo immortalano mentre parla davanti a piazze gremite, che ricopiamo puntualmente quando celebriamo le nostre storiche – ma sempre vive - fedeltà. Un uomo dagli occhiali spessi che, ancora ragazzo, sembrava già un adulto fatto.

L’armadio di metallo nasconde e conserva carte che, invece, ci raccontano l’uomo con le sue passioni e la sua creatività, fuori dal mito. Dino con la sua scrittura minuta, le correzioni, le ripetizioni e le cancellature si presenta ai nostri occhi rappresentandoci interessi che mai avremmo immaginato avendolo racchiuso, nei nostri vaghi ricordi, dentro la formalità del ruolo, dimenticandoci l’uomo.

I faldoni sono grandi buste ripiene di carte. Bisogna maneggiarli con cura: ogni documento ha una sua dignità che va conservata e mantenuta. Dentro i faldoni ci sono cartelle. Ogni cartella ha un nome e dentro ogni nome si nasconde una storia. Rivolta nel quartiere e Il desiderio si veste di bianco sono due cartelle gialle piene zeppe di minute, brutte copie, annotazioni e poi la bella copia. Due manoscritti battuti a macchina con correzioni a penna: un romanzo ed una sceneggiatura. Questa è la loro storia.

Rivolta nel quartiere

È il 1947: l’anno nel quale Calvino vince il premio nazionale Riccione con il suo dattiloscritto Sentieri dei nidi di ragno e Ennio Flaiano vince il premio Strega con Il tempo di uccidere. Dino, non ancora diventato l’uomo che conosciamo, scrive e partecipa alla prima edizione del concorso letterario Premio Mondadori con la stesura del suo romanzo. La casa editrice lancia, quell’anno, La Medusa degli italiani: una collana che, collegata al concorso, intende raccogliere autori italiani giovani e talentuosi per avvicinarli ad un pubblico più vasto. Quell’anno pubblicano Vittorini, Silone, Quarantotti Gambini.

Il 1947 è un anno denso di avvenimenti. L’Italia è un paese in larga parte distrutto, con oltre 1 milione e mezzo di disoccupati. Siamo alla fine della guerra e alle porte della Guerra fredda. Il Piano Marshall inonda il nostro paese di soldi per la ricostruzione. Il 1° maggio Salvatore Giuliano a Portella della Ginestra fa strage di sindacalisti: 11 morti e 27 feriti. Le truppe americane ci lasciano e il 27 dicembre il capo do Stato provvisorio Enrico De Nicola promulga la Costituzione delle Repubblica Italiana.

È l’anno che si scopre il Diario di Anna Frank ed escono Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Nasce Il Piccolo Teatro di Milano. Pratolini pubblica Cronache di poveri amanti. Primo Levi Se questo è un uomo. È un anno di grande fermento culturale: scrittori ed intellettuali sentono di dover stare vicini, assieme, per far fronte alla possibile dispersione e disperazione. Pavese, Vittorini, Moravia, Fenoglio, Calvino, Pratolini e molti altri danno vita ad un grande movimento di partecipazione democratica culturale: non una scuola ma un insieme di voci che intendono dar parola alle diverse Italie dimenticate. È il neorealismo con il suo racconto del quotidiano semplice delle persone umili e comuni. Un movimento che racconta del bisogno di una partecipazione concreta: per una cultura nuova, per una letteratura nuova, più libera e vicina ai problemi veri della politica e della società. Un modo per agire concretamente nella storia e nella realtà. La parola d’ordine è Impegno.

Dino, che si era laureato nel 1935 con una tesi dal titolo significativo: Linee di una teoria della rivoluzione, si colloca dentro il neorealismo e scrive un romanzo intriso dai suoi caratteri. La storia accompagna il ritorno dalla prigionia di due fratelli Carlo e Ruggero. Giovani semplici, quasi sprovveduti, vissuti sempre al paese, costretti a cambiare vita davanti alla distruzione del loro passato. Passano dalla campagna alla città e qui, dentro un quartiere popolare, conoscono passioni nuove e sperimentano l’ingiustizia della povertà, la disoccupazione e la disuguaglianza. Numerosi sono i richiami ai Promessi sposi e all’ingenuità di Renzo durante le rivolte milanesi. Dino scrive una storia in presa diretta: parla del dopoguerra mentre lui stesso lo vive. Racconta delle trasformazioni delle coscienze al mutare dei tempi mentre anche lui le prova. Il tema della ribellione ritorna prepotente raccontando la distruzione del paese, i legami famigliari, gli affetti e lo spaesamento per un nuovo che ancora non si è fatto giustizia.

Il desiderio si veste di bianco

Siamo nel 1950. I contadini meridionali occupano i grandi latifondi che caratterizzavano l’economia rurale del sud e le loro lotte e rivendicazioni si estendono lungo tutto il paese coinvolgendo le economie del nord caratterizzate da una maggiore industrializzazione. Le cariche della polizia sotto il governo dal Ministro Scelba fanno morti e feriti durante le lotte sindacali delle Fonderie Riunite di Modena. Nascono la UIL e la CISL.

Il neorealismo trova una sua specifica espressione nel cinema che assume un carattere popolare molto amato e diffuso nel paese intrecciato strettamente alla produzione letteraria. De Sica mette in scena Ladri di biciclette scritto da Zavattini e nel ’48 Visconti esce con La terra trema tratto da I Malavoglia di Verga. Rossellini alla Mostra cinematografica di Venezia presenta Stromboli terra di Dio. Numerosi intellettuali – solo per fare qualche nome Visconti, Antonioni, Ingrao - si ritrovano attorno a riviste e circoli culturali che si occupano della settima arte. Sono anni complicati: difficili ed entusiasmanti. Il cinema scava e trova nella realtà le sue radici ed i suoi racconti. Le trame si snodano tra case popolari, operai e poveri cristi alla ricerca di un riscatto, immersi in un desiderio di vita per uscire dalla disperazione e dalla frustrazione. I registi sperimentano attori non protagonisti per rendere ogni trama il più possibile aderente al vero. “Questo cinema servì per raccontare la tragedia italiana e a delineare il vero volto del suo popolo” scrive Rossellini in quegli anni. L’obiettivo era raccontare un paese che cercava di imboccare la strada della democrazia.

In quest’anno Dino invia la sua sceneggiatura ad un concorso collegato alla 2° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Lo accompagna ad un motto: Il tuo nome è in ogni canto, che ben esprime il sentimento che pervade questo racconto centrato attorno ad una relazione d’amore. Peppino e Anna, operaio specializzato ed impiegata, stanno per sposarsi e l’abito bianco diventa l’oggetto del desiderio di un futuro sognato e desiderato in un contesto difficile. Anche in questo lavoro, così come nel romanzo, Dino inserisce alcuni caratteri riferibili al movimento neorealista accanto ad una propria e specifica sensibilità: il conflitto di classe con le sue caratterizzazioni stridenti tra povertà e ricchezza dove l’ingiustizia genera rabbie e rancori che sfociano anche in atti di ribellione e di violenza personali e colletti; l’attenzione alla descrizione degli ambienti: tra città e campagna, tra fabbrica e lavoro dei campi; una sensibilità al percorso di crescita e maturazione della coscienza individuale e sociale; la scelta di una scrittura dai caratteri poetici che ben esprime i turbamenti dell’anima verso il trascendente e la religione davanti ai fatti della storia.

Entrambi i lavori sono stati una scoperta che ci aiutano, oggi, a conoscere meglio l’uomo Dino dentro i ricordi istituzionali del Penazzato presidente nazionale Acli e politico. La sua scrittura porta in luce la volontà e capacità di utilizzare registri diversi per descrivere e condividere ma anche interconnettere le proprie idee e pensieri sul mondo, ampliando il bacino dei possibili fruitori, uscendo in tal modo dai margini rassicuranti del proprio conosciuto. Scrivere ha sempre una funzione comunicativa non priva di rischi: è un modo per dar vita e forma ai propri pensieri facendoli uscire dalla propria confortevole sfera personale per renderli fruibili al giudizio degli altri. Tutto questo ci racconta di un uomo che coraggiosamente, come ricorda la moglie, è stato capace di rappresentare la sua sensibilità non solo nell’esprimere concetti, più consoni ai luoghi politici che era solito abitare, ma anche nell’aprirsi ai sentimenti, alle emozioni e alle sensazioni. Un uomo che ha vissuto pienamente, con ruoli e funzioni, utilizzando forme e strumenti diversi, il proprio tempo. Ne ha aderito coniugando politica, sociale e cultura a tutto campo: uno sforzo collettivo di quegli anni, una corrente intrisa di voglia di democrazia, giustizia e lotta contro tutte le disuguaglianze, dentro la quale Dino ha trovato casa. Interessante che tutto questo oggi sia custodito e conservato dentro il nostro archivio storico contribuendo in tal modo a rafforzare e definire, allora ma ancora oggi, la nostra identità ed il nostro stile associativo: una organizzazione da sempre aperta, includente e sensibile a ciò che si muove nel mondo.

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