Quelle lezioni che vengono dalla storia

di Francesca Izzo

Sono convinta che non possiamo procedere nel cammino che è stato delineato nella riunione del 12 luglio se, come è stato sollecitato da più parti, non si definiscono concettualmente e soprattutto storicamente i termini del tema proposto: politica e trascendenza, a cui aggiungerei quello di immanenza.

Non possiamo riprendere questi lemmi, carichi di una lunga e controversa vicenda senza segnalare esplicitamente di essere pienamente consapevoli degli ammaestramenti della storia e della necessità di profonde revisioni.

La politica moderna, nel momento stesso in cui si costituiva iuxta principia della ragione ed elaborava le forme (lo Stato) entro cui la convivenza degli uomini considerati “come sono e non come vorremmo che fossero” diventava possibile e benefica, lasciava una porta aperta alla trascendenza, sia sub specie di teologia politica (Hobbes) che in quella comunitaria spinoziana.

La trascendenza ha che fare con la promessa della salvezza, del singolo e della comunità, con la promessa del riscatto dal male, dal bisogno, dalla sofferenza e anche dalla morte, che il messaggio cristiano ha trasmesso al nostro mondo segnandolo in profondità. Lo Stato e la Chiesa, religione e politica, si presentano così come due sfere distinte ma fortemente connesse abbracciando insieme terra e cielo.

Ma con Rousseau accade qualcosa che fa saltare questo equilibrio: la storicizzazione del male. Il male ha una radice, una genesi storica (la nascita della proprietà privata toglie libertà e uguaglianza, e impedisce l’unità del genere umano) e può essere vinto sul piano dell’immanenza storica. Da qui in avanti la lotta tra immanenza e trascendenza si combatte intorno a questo nodo (anche se da parte del conservatorismo liberale la linea è quella della doppia morale: l’immanenza per i colti e i forti di spirito e la trascendenza religiosa per il popolo). I marxisti, convinti che la religione sia una forma di alienazione, radicalizzano, con la tensione utopica verso il comunismo, l’immanenza, l’unificazione del genere umano e la vittoria sul male saranno il frutto dell’abolizione delle classi.

Nel Novecento il confronto/scontro tra credenti e non credenti si svolge intorno all’integrale secolarizzazione o meno del principio di salvezza.

Che ne è oggi di questo scontro? Come sono cambiati i termini che lo hanno alimentato? La crisi e il tramonto dell’idea di comunismo quale immanenza assoluta, come ha cambiato la concezione della politica? E d’altra parte il riconoscimento e l’accettazione da parte della Chiesa di Roma del pluralismo democratico, come riconfigura l’appello alla trascendenza? La tendenza che si è andata affermando è lo schiacciamento della politica sul presente, privo di profondità sia verso il passato sia verso il futuro, mentre la dimensione religiosa è apparsa fortemente ridimensionata e ristretta nella sfera privata.

Ma nello stesso tempo e in apparente contraddizione con questa caduta di tensione della politica è accaduto che l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale sia rinata avendo a suo principio fondativo “mai più guerra tra gli Stati che la compongono”, e cooperazione con gli altri. Un embrione di comunità politica ha deciso di fondarsi sulla pace e non sullo ius ad bellum, che è sempre stato il tratto distintivo estremo della sovranità politica. Cosa significa, cosa comporta questo inedito storico? (vedere i progetti di pace perpetua da Kant a l’abate Saint Pierre). Innanzitutto che pace e politica possono stare insieme, che l’auto affermazione di una entità politica può darsi appellandosi non alla forza ma al dialogo e cooperazione. Purtroppo stiamo assistendo impotenti alla distruzione di questo principio che rappresentava un faro concreto di speranza per popoli e Stati.

La rivoluzione delle donne ha sconvolto e continua a sconvolgere le fondamenta su cui si è costruita la società politica in Occidente (ma non solo, come ci sta mostrando la straordinaria lotta delle donne iraniane e la tenace resistenza delle afgane) con l’assegnazione coatta delle donne alla famiglia. La loro liberazione da vincoli di sudditanza e oppressione rende finalmente realizzabile sul piano storico il messaggio di Paolo “né giudei né gentili, né schiavi né liberi, né uomini né donne” aprendo nello stesso tempo una gigantesca questione “antropologica” che interroga insieme immanenza e trascendenza.

Questo però non vuol dire che la violenza, la forza (il male) scompaiano dall’orizzonte. Ma sicuramente che potrebbero essere ridisegnati i confini tra politica e trascendenza, delineando una nuova “alleanza”.

Francesca Izzo è politologa, co-fondatrice di “Se Non Ora Quando Libere”

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